La Commissione

Introduzione – Dalla comunicazione al cuore del comando

Dopo aver esplorato il potere delle parole, delle narrazioni e dei media nel capitolo precedente, ci addentriamo ora in uno degli organi meno visibili ma più determinanti nella struttura della mafia: la Commissione. Questo organismo, noto anche come “Cupola”, rappresenta il livello più alto del coordinamento strategico delle cosche, un’istituzione parallela che ha gestito per decenni decisioni cruciali per la vita interna e per le relazioni esterne delle organizzazioni mafiose.

Nel capitolo 13 abbiamo visto come la mafia abbia imparato a governare il consenso e a manipolare la comunicazione. Il passaggio al capitolo 14 ci porta a indagare il luogo dove si decidono i destini delle alleanze, delle guerre di mafia, dei rapporti con lo Stato. La Commissione è la sede della razionalità criminale, un parlamento dell’illegalità dove si intrecciano potere, gerarchie e strategie globali.

In questo nuovo articolo analizzeremo le origini, l’evoluzione e il ruolo attuale della Commissione mafiosa, mettendo in luce le sue trasformazioni nel tempo, la sua funzione decisionale e il modo in cui essa continua a operare, spesso nell’ombra, ben oltre i confini della Sicilia.

Scopriremo:

  • Come nacque e si consolidò la Commissione mafiosa;
  • Chi ne faceva parte e con quali regole venivano prese le decisioni;
  • Il suo ruolo nei grandi eventi della storia italiana contemporanea;
  • Le mutazioni recenti e la sua esistenza negli assetti attuali della criminalità organizzata.

14.1 – Un’idea di comando centralizzato

La nascita della Commissione, o “Cupola”, segna una svolta strutturale nel modo in cui Cosa Nostra esercita il potere. Se in passato ogni famiglia agiva con una certa autonomia territoriale, le tensioni, le faide e l’espansione dei traffici internazionali richiesero un organismo capace di dirimere conflitti e coordinare le strategie a livello provinciale. La prima Commissione provinciale venne quindi istituita tra il 12 e il 16 ottobre 1957, nel celebre summit al Grand Hotel et des Palmes di Palermo, dove boss siciliani e italo-americani – inclusi Lucky Luciano e Joseph Bonanno – concordarono la creazione di una struttura formale di comando utilizzando il modello statunitense.

Il meccanismo era semplice: ogni gruppo mafioso territoriale (il cosiddetto mandamento) nominava un rappresentante, il “capomandamento”, eletto tra soggetti di secondo rango per evitare concentrazioni di potere. Questi rappresentanti formavano un organismo collegiale con compiti precisi: risolvere dispute, autorizzare omicidi nei ranghi, definire alleanze territoriali, e garantire l’ordine interno. Fu una rivoluzione: la violenza, prima prerogativa dei singoli boss, veniva ora deliberata centralmente.

Il primo segretario della Commissione fu Salvatore “Ciaschiteddu” Greco, capo dominante del mandamento di Ciaculli, che diramò le regole e supervisionò la selezione dei capi-mandamento. Tuttavia, le ambizioni di alcuni – come i fratelli La Barbera – violarono quei precetti, scatenando la Prima guerra di mafia culminata nella strage di Ciaculli del 1963.

Questa innovazione istituzionalizzò il crimine: la Commissione divenne la sede delle principali scelte strategiche, trasformando la mafia da rete di clan indipendenti in un’organizzazione dotata di governance centralizzata. Una cupola sovraordinata, con l’obiettivo non solo di regolare i conflitti, ma di rafforzare il controllo criminale sul territorio e proiettarsi verso mercati internazionali senza spaccature interne.

Fonti e approfondimenti

  • Wikipedia – Commissione provinciale
  • Wikipedia (EN) – Sicilian Mafia Commission
  • Wikipedia – 1957 summit al Grand Hotel et des Palmes
  • 14.2 – La Prima Commissione e l’equilibrio instabile

    La Prima Commissione mafiosa siciliana, nata nella seconda metà degli anni Cinquanta, fu concepita come organismo di coordinamento e autoregolazione. Tuttavia, le dinamiche interne al potere mafioso, complesse e conflittuali, misero presto a dura prova l’equilibrio che essa avrebbe dovuto garantire. I boss più influenti, come i Greco di Ciaculli e i La Barbera, miravano a egemonizzare le decisioni della Commissione, trasformandola da organo collegiale in uno strumento di potere personale.

    Nel biennio 1962-1963 si acuirono le tensioni: la rivalità tra le cosche di Palermo e quelle delle province si fece esplosiva. La decisione di autorizzare alcuni omicidi eccellenti senza unanimità – violando le stesse regole della Commissione – portò a una spirale di vendette incrociate. Le riunioni della Cupola divennero terreno di scontro, e l’equilibrio instabile precipitò nel caos della Prima guerra di mafia, culminata nella strage di Ciaculli del 30 giugno 1963, che uccise sette uomini delle forze dell’ordine.

    Lo Stato fu costretto a reagire: la Commissione fu formalmente sciolta, decine di boss furono arrestati, e molte famiglie mafiose furono indebolite. Tuttavia, il progetto di un comando centralizzato non fu abbandonato: venne semplicemente sospeso. L’equilibrio instabile della Prima Commissione aveva rivelato tanto il potenziale organizzativo della mafia quanto i limiti della sua coesione interna. Il modello restava valido, ma necessitava di leader più abili e di un contesto politico più complice.

    Fonti e approfondimenti

  • Wikipedia – Prima guerra di mafia
  • Treccani – Cosa Nostra
  • 14.3 – La strategia di Riina

    Dopo la fase di crisi della Prima Commissione, lo scenario mafioso entrò in una lunga riorganizzazione sotterranea. Negli anni Settanta, Totò Riina – capo del clan dei Corleonesi – iniziò a costruire pazientemente la propria ascesa al vertice. Con uno stile feroce e calcolatore, Riina non solo si oppose al modello collegiale originario della Commissione, ma progettò una vera e propria egemonia criminale assoluta. La sua strategia puntava a concentrare in sé tutte le funzioni decisionali, eliminando fisicamente ogni opposizione, dentro e fuori dalla Commissione.

    Negli anni Ottanta, Riina promosse sistematicamente l’eliminazione dei capi storici, orchestrando la Seconda guerra di mafia. In pochi anni, boss carismatici come Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e Rosario Riccobono furono assassinati. La Cupola divenne un simulacro: la sua esistenza formale rimase, ma era ormai sotto totale controllo dei Corleonesi. L’apparato di comando, teoricamente condiviso, veniva svuotato delle sue funzioni per diventare un organo ratificatore delle decisioni di Riina.

    La logica verticistica imposta dal “capo dei capi” si accompagnava a una strategia del terrore che includeva attentati spettacolari e una sfida aperta allo Stato, culminata negli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino. L’uso della Commissione, sotto Riina, fu dunque stravolto: da spazio di mediazione a strumento di dittatura interna. Ogni voce dissonante era eliminata, ogni mandamento controllato con il terrore e con la cooptazione degli alleati fedeli. L’idea della Commissione come organo di equilibrio era definitivamente cancellata.

    14.4 – La Commissione post-stragi e il nuovo paradigma

    Dopo l’arresto di Riina nel 1993, la struttura di comando mafiosa si trovò nuovamente di fronte a un bivio: ricostituire una Commissione forte oppure abbandonare il modello centralizzato. La Cupola, benché formalmente non più operativa, rimase un riferimento simbolico. Bernardo Provenzano, successore designato, abbandonò la strategia stragista e avviò una fase di “pax mafiosa”, basata su una gestione più silenziosa e mimetica del potere. Il metodo era diverso: meno sangue, più affari.

    Sotto Provenzano, la mafia cercò legittimazione sociale e politica: accordi trasversali con settori della finanza, mediazione nei cantieri pubblici, penetrazione nel tessuto imprenditoriale. In questo contesto, la Commissione – pur non essendo attivamente convocata come un tempo – rimase una sorta di tavolo informale di consultazione tra i capi mandamento più potenti. Un ritorno alla collegialità, ma sotto il segno della prudenza e dell’occultamento.

    L’evoluzione più recente della Commissione si lega all’adattamento della mafia al mondo globalizzato. L’organizzazione criminale preferisce oggi modelli decentrati, reti flessibili e interconnesse, in grado di operare nei mercati globali. Tuttavia, in caso di crisi o necessità di decisioni condivise, emerge ancora la figura del coordinamento “alla vecchia maniera”. La Cupola, insomma, non è morta: si è trasformata. Meno visibile, meno formalizzata, ma ancora capace di influenzare pesantemente gli equilibri criminali, economici e politici del Paese.

    Fonti e approfondimenti

  • Wikipedia – Seconda guerra di mafia
  • Treccani – Totò Riina
  • Wikipedia – Bernardo Provenzano
  • Conclusione – Dalla Commissione alla zona grigia

    Il viaggio nella storia della Commissione ci ha mostrato come l’organizzazione mafiosa abbia cercato, nel tempo, una forma di autorità interna capace di regolare i conflitti, garantire la sopravvivenza dell’organizzazione e stabilire strategie condivise. Dall’utopia della collegialità alla dittatura dei Corleonesi, fino alla mimetizzazione sotto Provenzano, la Commissione riflette le trasformazioni profonde della mafia e la sua capacità di adattarsi ai contesti sociali, politici ed economici più disparati. Ma se la Cupola rappresentava una gerarchia definita, la fase successiva introduce un fenomeno più subdolo e meno delineabile: quello della cosiddetta zona grigia.

    Nel prossimo capitolo ci addentreremo in questo territorio ambiguo, dove mafia e istituzioni, affari e legalità, convivono in una relazione simbiotica difficile da scindere. Analizzeremo come, attraverso alleanze con professionisti, politici, imprenditori e funzionari pubblici, Cosa Nostra riesca a perpetuare il proprio potere senza ricorrere alla violenza eclatante, ma agendo nelle pieghe del sistema. La zona grigia non ha volto né nome, ma influenza decisioni, orienta politiche e indirizza enormi flussi di denaro. È lì che la mafia oggi costruisce il suo futuro.

    Continua a seguirci su Libertà e Azione per altri approfondimenti come “La zona grigia“.

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