Capitolo 2 – Portella della Ginestra: il battesimo di sangue della Repubblica

2.1 La guerra dei convogli e la svolta del 1942

Nel 1942 l’Atlantico era diventato un teatro di scontro strategico: le navi mercantili statunitensi venivano sistematicamente attaccate dagli U-Boot tedeschi lungo la East Coast. Il contrabbando, le carenze di sorveglianza e una rete logistica permeabile mettevano a rischio le forniture essenziali per lo sforzo bellico americano. A questo punto, il governo di Roosevelt si trovò davanti a una scelta inusuale: cercare aiuto in ambienti non convenzionali. Così nacque il primo contatto diretto tra i servizi statunitensi e le strutture mafiose locali.

Con il beneplacito dell’Office of Naval Intelligence (ONI), furono avviati contatti con le famiglie mafiose operanti nel porto di New York, in particolare con il clan di Joseph “Socks” Lanza, che aveva influenza sulla United Seafood Workers Union e un controllo quasi totale sul molo del pesce del Fulton Fish Market. Questi gruppi erano in grado di garantire una rete informativa efficace e al tempo stesso scoraggiare sabotaggi e infiltrazioni di spie nazifasciste. La mafia divenne così, per la prima volta, un partner tattico dello Stato americano in guerra.

La svolta del 1942 fu decisiva anche sul fronte italiano: mentre le forze alleate preparavano l’invasione della Sicilia, i contatti con l’underworld americano diventarono un’opzione politica accettata e necessaria. Questa collaborazione non fu un incidente ma l’inizio di un rapporto strutturato tra potere legale e potere parallelo, cementato da interessi comuni, nemici condivisi e una convergenza tattica sulla gestione del territorio.

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2.2 – Operazione Underworld: un patto occulto per proteggere i porti

Durante la Seconda guerra mondiale, la crescente minaccia di sabotaggi nemici nei porti statunitensi spinse le autorità americane a considerare soluzioni non convenzionali. La più emblematica fu l’Operazione Underworld, un accordo segreto stipulato tra l’intelligence della Marina degli Stati Uniti e il boss mafioso italo-americano Charles “Lucky” Luciano. Obiettivo: ottenere protezione e stabilità nei porti della costa est, in particolare a New York, snodo cruciale per lo sforzo bellico americano.

Luciano, all’epoca detenuto a Dannemora, fu contattato per offrire collaborazione in cambio di una riduzione della pena. In breve tempo, la rete mafiosa controllata da Luciano — soprattutto attraverso il sindacato dei portuali guidato da Joseph “Socks” Lanza — riuscì a garantire una supervisione capillare delle attività portuali, prevenendo possibili azioni nemiche e mantenendo l’ordine nei cantieri e nelle banchine.

Questo accordo segnò l’inizio di una lunga collaborazione tra lo Stato profondo americano e le organizzazioni criminali. La mafia si dimostrava non solo un’entità utile per il controllo del territorio, ma anche un attore geopolitico capace di influenzare eventi internazionali, in cambio di impunità o vantaggi economici. Lo Stato, dal canto suo, legittimava il potere della criminalità organizzata in cambio di «sicurezza» e «ordine».

Questo patto oscuro, raramente discusso nella storiografia ufficiale, rappresenta uno degli snodi centrali della “guerra occulta” narrata in quest’opera: una convergenza di interessi tra potere legale e potere parallelo, giustificata dall’emergenza ma destinata a perdurare ben oltre la fine della guerra.

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Fonte base: La storia della mafia, Capitolo 2, par. 2.2

2.3 – La guerra invisibile nei porti americani

Il controllo dei porti americani da parte di Cosa Nostra fu uno degli aspetti meno raccontati, ma strategicamente più rilevanti dell’accordo segreto USA–Mafia durante la Seconda guerra mondiale. Dopo l’incendio del piroscafo Normandie a New York nel febbraio del 1942, la Marina americana temeva sabotaggi nazifascisti lungo tutta la costa orientale. Ma ben presto divenne evidente che l’unico potere in grado di garantire un vero controllo del territorio non era lo Stato federale, bensì la criminalità organizzata, e in particolare Lucky Luciano, che pur essendo detenuto, manteneva l’autorità sui dockworkers tramite i suoi uomini sul campo.

Questo portò al cosiddetto Operation Underworld, una collaborazione segreta tra l’Ufficio dell’Informazione Navale (ONI) e i boss mafiosi italo-americani. Il patto prevedeva che i mafiosi avrebbero garantito la sicurezza dei porti, impedendo sabotaggi e mantenendo la disciplina tra i lavoratori portuali. In cambio, ricevettero protezione, agevolazioni legali e nel caso di Luciano, persino la promessa di una riduzione della pena e la deportazione in Italia invece di restare nel carcere federale di Dannemora.

Questo episodio rivela una dinamica fondamentale: quando il potere ufficiale è in crisi, quello parallelo diventa indispensabile. La mafia riuscì a presentarsi non come nemico dello Stato, ma come alleato emergenziale, capace di supplire a una mancanza di controllo reale sul territorio. Questo modello si ripeterà spesso nella storia della geopolitica mafiosa, sia in Italia che all’estero.

Il lungo silenzio su questa collaborazione fu rotto solo decenni dopo, e ancora oggi molti documenti restano classificati. Ma il significato strategico è chiaro: le mafie furono trattate come attori geopolitici, e non semplici organizzazioni criminali. Il loro potere d’interdizione sul territorio americano – e successivamente anche su quello italiano – fu riconosciuto e utilizzato dallo Stato stesso.

La guerra nei porti, dunque, fu il primo vero banco di prova di una alleanza strutturale tra Stato e mafia, che si ripeterà in varie forme nei decenni successivi, dall’Italia del dopoguerra alla gestione delle basi NATO in Sicilia, fino al controllo delle rotte della droga durante la Guerra Fredda.

Questo paragrafo è parte del Capitolo 2 – “L’accordo segreto USA–Cosa Nostra (1942)”

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2.4 Il sistema delle “porte girevoli” e il business della destabilizzazione

Dalla consulenza al caos: quando il profitto si annida nel conflitto

Uno dei meccanismi più sofisticati – e meno percepiti dall’opinione pubblica – mediante cui i poteri paralleli influenzano la scena globale è il sistema delle cosiddette “porte girevoli”. Questo fenomeno riguarda il continuo passaggio di figure chiave tra incarichi istituzionali, vertici di multinazionali, e posizioni apicali in think tank, agenzie d’intelligence o aziende militari-private. Il problema non è il cambio di ruolo in sé, ma la logica con cui certi individui si muovono nei nodi strategici di potere, indirizzando scelte politiche ed economiche a vantaggio di interessi privati o opachi.

Negli Stati Uniti, tra gli esempi più noti, troviamo il gruppo KKR, fondato da Henry Kravis e George Roberts, i cui membri hanno ricoperto posizioni chiave nel Pentagono e nel Dipartimento di Stato, prima di tornare nella finanza con nuovi contratti in portafoglio. Questo intreccio si è intensificato con la crescita dell’industria della sicurezza privata: aziende come Blackwater (poi Academi), DynCorp o G4S hanno assunto ex ufficiali dell’esercito e agenti CIA, creando un circuito in cui il conflitto è la condizione ideale per il business.

Il vero cuore della questione sta nella produzione artificiale dell’instabilità. In diverse aree del mondo – dall’Iraq post-Saddam all’Ucraina del post-2014, passando per il Venezuela e l’Afghanistan – si osservano cicli ricorrenti: un evento traumatico viene sfruttato per delegittimare il potere locale, si appoggiano forze paramilitari o oppositori interni, poi si giustifica un intervento esterno (militare o finanziario) con l’obiettivo dichiarato di “stabilizzare”. In realtà, la vera stabilità perseguita è quella dei profitti dei contractor, delle società di consulenza e degli hedge fund che scommettono sul default sovrano o sui titoli bellici.

In questo contesto, le mafie internazionali non restano a guardare. Anzi, entrano nel sistema proprio come fornitori di “servizi di campo”: controllo delle rotte logistiche, protezione armata, intermediazione con attori locali, gestione del mercato nero. In cambio ottengono legittimazione, finanziamenti indiretti e accesso ai piani alti. È qui che la linea tra “intelligence” e “crimine organizzato” si fa più sottile, più ambigua. E spesso, deliberatamente, più invisibile.

Questo paragrafo mette in luce il legame perverso tra l’instabilità geopolitica e il profitto programmato, dove le mafie non sono più semplici beneficiarie del caos, ma parte integrata della macchina che quel caos lo genera e lo gestisce.

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