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- Capitolo 27 – Le narrazioni alternative
- Struttura del capitolo:
- 27.1 – Il monopolio del racconto
- 27.2 – Cinema, TV e media: tra denuncia e stereotipo
- 27.3 – La contro-narrazione delle associazioni civiche
- 27.4 – Educazione e memoria: costruire un racconto diverso
- 27.5 – Narrazione e potere: chi controlla il discorso sociale
- Conclusione: verso una nuova grammatica collettiva
Capitolo 27 – Le narrazioni alternative
Nel prosieguo della nostra indagine sulla struttura e l’evoluzione del potere mafioso, questo capitolo si sofferma su un aspetto fondamentale ma spesso sottovalutato: il racconto. La narrazione è lo strumento con cui la mafia ha saputo occultare, giustificare o perfino mitizzare la propria esistenza. Analizzeremo come media, cultura popolare e istituzioni scolastiche abbiano veicolato – talvolta inconsapevolmente – messaggi ambigui, e come al tempo stesso stiano nascendo contro-narrazioni civiche e culturali capaci di smascherare il sistema mafioso e proporre un nuovo immaginario collettivo. Questo passaggio si connette profondamente con i temi trattati nel capitolo precedente sul riuso sociale dei beni confiscati: se non si cambia la cultura, nessuna politica antimafia potrà davvero radicarsi.
Struttura del capitolo:
- 27.1 – Il monopolio del racconto
- 27.2 – Cinema, TV e media: tra denuncia e stereotipo
- 27.3 – La contro-narrazione delle associazioni civiche
- 27.4 – Educazione e memoria: costruire un racconto diverso
- 27.5 – Narrazione e potere: chi controlla il discorso sociale
In ciascun paragrafo svilupperemo un’analisi approfondita, con un approccio critico, storico e sistemico. Questo capitolo rappresenta uno snodo fondamentale per comprendere come il potere mafioso si estenda non solo nei fatti, ma anche nelle parole e nei simboli. Prepariamoci quindi a decostruire le narrazioni tossiche e a far emergere una nuova grammatica del cambiamento.
27.1 – Il monopolio del racconto
Il potere mafioso non si fonda solo sulla violenza o sull’intimidazione: una delle sue armi più efficaci è sempre stata la narrazione. Per decenni, la mafia ha detenuto un monopolio del racconto, imponendo un’immagine di sé stessa che oscillava tra il mito, l’onore e la tradizione. Attraverso film, romanzi e canzoni, si è autocelebrata come un potere “necessario”, un regolatore sociale alternativo allo Stato. Questo racconto ha prodotto consenso implicito e ha anestetizzato l’indignazione collettiva, trasformando il mafioso in una figura ambigua, talvolta perfino romantica. Le prime serie televisive italiane degli anni ’70 e ’80, pur con intenti spesso realistici, contribuirono a fissare nello spettatore l’immagine del boss come figura carismatica e inevitabile.
Questa egemonia culturale ha avuto conseguenze profonde: ha ritardato la presa di coscienza, ha alimentato stereotipi e ha lasciato spazio a una cultura dell’accettazione. Il racconto mafioso, in effetti, ha svolto la funzione di legittimazione. E in assenza di una narrazione alternativa capace di disinnescarne il fascino, ha agito indisturbato nel modellare l’immaginario collettivo. Il potere del racconto è quindi anche un potere politico e sociale, capace di costruire consenso, ma anche di occultare verità scomode.
Solo a partire dagli anni ’90, con il lavoro incessante di giornalisti, magistrati e attivisti, ha cominciato a emergere una contro-narrazione più forte, in grado di rompere l’incantesimo. La consapevolezza che il racconto è battaglia di civiltà ha aperto la strada a nuovi strumenti educativi, a opere artistiche di denuncia e a una letteratura impegnata. Ma la strada è lunga, e il monopolio del racconto è ancora conteso.
Comprendere questa dinamica è cruciale per chiunque desideri agire nel presente con strumenti efficaci: chi controlla il racconto, controlla anche la possibilità del cambiamento.
27.2 – Cinema, TV e media: tra denuncia e stereotipo
Il mondo dei media, sin dagli albori del cinema sonoro, ha rappresentato uno dei principali strumenti di diffusione dell’immaginario mafioso. La mafia è entrata nelle case di milioni di spettatori attraverso pellicole iconiche, serie televisive e documentari. Ma la narrazione visiva ha avuto due facce: da un lato la denuncia, dall’altro lo stereotipo.
Film come Il Padrino di Coppola o Scarface di De Palma hanno sì portato alla luce la brutalità e la spietatezza del sistema mafioso, ma contemporaneamente hanno alimentato un’estetica del potere, della violenza e del lusso che ha reso i mafiosi dei personaggi quasi leggendari. La narrazione hollywoodiana ha spesso trasformato il boss in un antieroe affascinante, contribuendo a costruire un’identità culturale distorta in cui la mafia viene equiparata a un destino inevitabile o a una componente folkloristica del Sud.
Allo stesso tempo, la televisione italiana ha alternato momenti di grande coraggio civile – come le inchieste di Michele Santoro o i reportage di Riccardo Iacona – ad altri di appiattimento narrativo, dove la mafia viene banalizzata o trattata con leggerezza. Le fiction sulla criminalità organizzata, se da un lato hanno contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica, dall’altro hanno spesso reso il male “familiare”, normalizzandone la presenza.
In questo panorama si è inserito un nuovo fronte: quello dei documentari civici e dei podcast d’inchiesta. Progetti come La Repubblica delle Stragi o Altre/Storie hanno riportato al centro la verità storica, la voce delle vittime e la denuncia sociale. Ma il lavoro è ancora in salita: serve una consapevolezza collettiva per separare la finzione dalla realtà, la denuncia dal glamour, e restituire alle narrazioni sulla mafia la loro funzione educativa e civile.
27.3 – La contro-narrazione delle associazioni civiche
Contro il dominio mediatico della rappresentazione mafiosa, le associazioni civiche hanno svolto un ruolo fondamentale nella costruzione di una contro-narrazione autentica, plurale e dal basso. Realtà come Libera, Addiopizzo, Avviso Pubblico e molte altre hanno creato una nuova grammatica narrativa, fondata sulla memoria, la testimonianza e l’impegno collettivo.
Queste associazioni non si limitano alla denuncia o alla commemorazione, ma producono cultura: organizzano festival, laboratori nelle scuole, spettacoli teatrali, pubblicazioni editoriali. La narrazione della mafia viene così decostruita e sostituita con storie di resistenza, di riscatto, di giustizia possibile. Ogni incontro pubblico, ogni reading, ogni mostra fotografica diventa uno spazio di consapevolezza, un’occasione per costruire identità civiche alternative e per contrastare l’indifferenza.
La forza della contro-narrazione risiede nel suo radicamento nei territori: essa non nasce in un ufficio stampa, ma nelle piazze, nei centri sociali, nei cortili delle scuole. È una narrazione partecipata, alimentata dalla voce di chi ha subito e da chi lotta quotidianamente. Ed è proprio questa coralità a renderla efficace: rompe l’univocità del racconto mafioso e restituisce complessità, empatia, coscienza critica.
In un contesto mediatico spesso dominato da logiche commerciali o sensazionalistiche, le associazioni civiche offrono una visione alternativa e concreta. Costruiscono memoria attiva, formano nuove generazioni e soprattutto dimostrano che la narrazione è azione politica. Raccontare la verità, oggi più che mai, è un atto di resistenza.
27.4 – Educazione e memoria: costruire un racconto diverso
Uno degli strumenti più potenti per rompere l’egemonia narrativa della mafia è l’educazione. L’ingresso della legalità e dell’educazione civica nei percorsi scolastici ha segnato una svolta culturale, ma non basta inserire la parola “mafia” nei programmi: occorre costruire un racconto pedagogico consapevole, capace di coinvolgere e formare le nuove generazioni.
Iniziative come le Settimane della legalità, i viaggi nei luoghi simbolo della lotta antimafia, i laboratori su beni confiscati e testimonianze di familiari delle vittime sono fondamentali per trasformare la memoria in uno strumento di cittadinanza attiva. La memoria, se condivisa e narrata, diventa anticorpo sociale, barriera contro la rimozione e l’indifferenza. Ed è proprio nella scuola che questa memoria può diventare linguaggio comune, contaminando anche le famiglie e le comunità.
Ma l’educazione non può essere delegata solo agli insegnanti: deve coinvolgere media, editoria, istituzioni, artisti. Serve una rete educativa trasversale che combatta la rassegnazione e proponga modelli alternativi di successo, di giustizia, di libertà. La narrazione educativa della mafia deve evolversi, liberandosi dai luoghi comuni e dalle semplificazioni. Deve restituire complessità, promuovere la partecipazione e stimolare la riflessione critica.
In un tempo in cui le narrazioni si consumano velocemente sui social, è cruciale costruire racconti che durano, che sedimentano. Solo così sarà possibile creare una coscienza collettiva capace di respingere il fascino della mafia e di rendere la legalità un valore condiviso, non un’imposizione dall’alto.
27.5 – Narrazione e potere: chi controlla il discorso sociale
Chi narra, comanda. In questa semplice verità si condensa il rapporto profondo tra narrazione e potere. Chi ha il controllo del discorso sociale può decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è importante e cosa può essere ignorato. La mafia lo ha sempre saputo e ha agito di conseguenza: non solo dominando i territori, ma colonizzando il linguaggio e l’immaginario.
In un’epoca in cui la comunicazione è istantanea e globale, il pericolo di una manipolazione sistemica della narrazione è ancora più alto. La mafia – come molte altre forme di potere opaco – agisce anche attraverso la censura, il silenzio, la disinformazione. Controllare le storie significa legittimare la propria presenza e disinnescare la resistenza.
Ma la narrazione può essere anche uno strumento di democratizzazione del sapere. Ogni cittadino che racconta una storia vera, che testimonia, che ricorda, partecipa a un processo di liberazione culturale. In questo senso, la narrazione è un bene comune da difendere, coltivare, condividere.
Chi oggi controlla il discorso sulla mafia? Sono ancora in pochi a disporre dei mezzi di produzione culturale. Tuttavia, le tecnologie digitali hanno aperto spazi nuovi: blog, canali indipendenti, piattaforme di citizen journalism stanno riscrivendo il modo in cui si comunica il crimine organizzato. Tocca a noi decidere se usarli per costruire coscienza o per diffondere indifferenza.
Conclusione: verso una nuova grammatica collettiva
Il Capitolo 27 ci ha accompagnati dentro le pieghe più profonde del potere simbolico mafioso. Abbiamo visto come la mafia non viva solo di affari e violenza, ma anche – e soprattutto – di narrazioni. Controllare l’immaginario collettivo è una forma raffinata e pervasiva di dominio. Ma abbiamo anche visto che esiste una strada alternativa, fatta di resistenza culturale, di educazione, di testimonianza. La battaglia per il racconto è ancora aperta, e riguarda tutti noi.
Nel prossimo e ultimo capitolo, entreremo nel cuore della resistenza del XXI secolo: le nuove forme di antimafia globale, l’uso delle tecnologie, il ruolo delle reti transnazionali. La lotta continua, e ogni parola giusta è un seme di libertà.
Continua a seguirci su Libertà e Azione per altri approfondimenti come “Il futuro dell’antimafia“.
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