Introduzione – Dalle casse al cemento: l’evoluzione dell’infiltrazione mafiosa
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Nel capitolo precedente, “Il grande saccheggio delle casse del Sud”, abbiamo esaminato come la mafia sia riuscita a infiltrarsi nel sistema di spesa pubblica, drenando risorse ingenti attraverso tangenti, appalti pilotati e complicità politiche. Quel passaggio ha rappresentato il consolidamento finanziario della criminalità organizzata. Con il presente capitolo, “Le mani sul mattone”, entriamo in una fase ancora più pervasiva: quella del controllo sul territorio urbano, sulle città e sull’edilizia pubblica e privata.
Questo capitolo rappresenta un momento cruciale nell’evoluzione strategica della mafia. Dalla gestione del denaro si passa alla costruzione fisica del potere, attraverso una vera e propria colonizzazione urbanistica. Si aprono scenari in cui la speculazione edilizia, la corruzione burocratica e l’intreccio fra affari e criminalità diventano elementi strutturali della pianificazione urbana. Approfondiremo come tutto ciò si sia realizzato e quali siano state le sue conseguenze a lungo termine.
La colonizzazione edilizia: un nuovo fronte del potere mafioso
Come la mafia ha conquistato il controllo del cemento
Il passaggio dalla gestione della liquidità pubblica alla conquista dell’edilizia rappresenta uno spartiacque nella strategia mafiosa. Non più solo tangenti e mazzette, ma veri e propri imperi immobiliari edificati sulla corruzione e sull’intimidazione. Con la seconda metà del Novecento, le cosche si spostano dai campi e dalle bische ai cantieri: il cemento diventa lo strumento di controllo territoriale. Le imprese di costruzione collegate alla mafia iniziano a vincere appalti pubblici a ritmo serrato, spesso grazie a intimidazioni nei confronti di concorrenti onesti o a patti segreti con funzionari corrotti.
A Palermo, il cosiddetto “sacco edilizio” ne è l’emblema più chiaro. Quartieri interi vengono costruiti in fretta e furia, senza alcuna logica urbanistica, con palazzine spesso prive di servizi essenziali. Il legame tra amministratori pubblici e mafiosi diventa sistemico. La città diventa un mosaico di interessi cementificati, simbolo tangibile di un potere che si manifesta attraverso la distruzione del paesaggio e la speculazione. Le licenze edilizie sono concesse a pioggia, i vincoli urbanistici ignorati, e ogni nuovo edificio rappresenta una vittoria per la rete criminale.
Il controllo del settore edilizio permette alla mafia di riciclare denaro, impiegare manodopera fidelizzata e mantenere un’influenza costante sulle trasformazioni del territorio. Il cemento non è più solo materiale da costruzione, ma un codice di dominio.
Questa strategia criminale, inizialmente concentrata nel Mezzogiorno, si estende presto al Nord, dove le imprese mafiose si infiltrano nei mercati locali approfittando di crisi aziendali e tagli alla spesa pubblica. In questo modo, l’edilizia diventa il ponte tra economia legale e criminale, tra la speculazione finanziaria e la conquista del suolo urbano.
5.2 – L’alleanza con le burocrazie locali
Se il controllo del cemento è l’elemento visibile, l’alleanza con le burocrazie locali rappresenta il motore silenzioso ma fondamentale dell’espansione mafiosa nel settore edilizio. I clan non costruiscono solo con il cemento, ma con autorizzazioni, concessioni, delibere e silenzi. La lentezza della macchina amministrativa diventa un’arma nelle mani dei corrotti: chi non si allinea, viene bloccato; chi collabora, viene agevolato.
Funzionari pubblici, geometri comunali, dirigenti tecnici: figure spesso anonime ma determinanti. Senza la loro complicità, interi quartieri costruiti illegalmente non avrebbero mai visto la luce. In molti comuni del Sud – ma non solo – le commissioni edilizie si trasformano in centrali di potere parallelo, dove la firma ha un prezzo e il diniego una conseguenza. Il piano regolatore, strumento chiave per la pianificazione urbana, viene piegato agli interessi dei boss.
Un esempio eloquente è quello di Napoli negli anni Ottanta, dove l’edilizia pubblica e quella popolare erano in mano a consorzi legati alla camorra. Appalti milionari venivano assegnati con bandi su misura e clausole ad hoc. Le imprese “amiche” ricevevano anticipi senza dover completare i lavori; gli edifici crollavano pochi anni dopo. L’illegalità si istituzionalizzava attraverso la prassi.
Questo patto oscuro tra mafia e burocrazia ha consentito alle organizzazioni criminali di blindare il proprio potere. Gli uffici tecnici comunali sono diventati zone franche dove la legalità non era benvenuta. A pagarne il prezzo non è solo l’economia onesta, ma l’intero tessuto urbano: città disordinate, quartieri senza identità, edilizia scolastica e sanitaria allo sbando.
5.3 – Palazzinari, politici e silenzi: la rete
Il mondo dell’edilizia mafiosa è retto da una rete tanto fitta quanto silenziosa, formata da palazzinari senza scrupoli, politici compiacenti e un silenzio sociale che spesso rasenta la complicità. La figura del “palazzinaro” – l’imprenditore edilizio colluso, spesso senza titoli né esperienza – emerge come anello fondamentale del sistema: è lui a realizzare le opere, a spartire le mazzette, a gestire le connivenze.
Accanto a lui, amministratori pubblici che chiudono un occhio (o entrambi) davanti a violazioni urbanistiche evidenti, e politici locali che si fanno portatori degli interessi delle cosche nei consigli comunali. La politica non solo tollera, ma spesso favorisce: piani regolatori su misura, cambi di destinazione d’uso approvati in sedute notturne, assunzioni pilotate nelle imprese mafiose per costruire consenso elettorale. L’obiettivo non è solo economico, ma anche simbolico: costruire significa dominare, lasciare un’impronta sul territorio.
Nel frattempo, la società civile – intimorita, disillusa o a volte beneficiaria – resta in silenzio. La logica del “meglio costruire che lasciare tutto fermo” diventa alibi collettivo. E così si creano mostri urbanistici, palazzoni senza verde, periferie abbandonate. La città diventa specchio del potere criminale: brutale, inefficiente, impunito.
Questa rete trasversale è ciò che rende la mafia urbana così resiliente. Non agisce da sola, ma si incunea nelle faglie già esistenti del sistema: la corruzione politica, l’inefficienza burocratica, la rassegnazione popolare. L’edilizia diventa così il teatro perfetto dove mettere in scena un dominio che si pretende invisibile, ma che lascia segni profondi nei muri, nelle strade, nelle vite delle persone.
5.4 – Conseguenze sull’ambiente e sull’urbanistica
L’espansione edilizia mafiosa ha avuto effetti devastanti non solo dal punto di vista economico e sociale, ma anche ambientale e urbanistico. La logica del profitto immediato ha sacrificato paesaggi, coste, aree agricole e interi ecosistemi sull’altare della speculazione. Le città, trasformate in laboratori del malaffare, sono cresciute senza armonia, senza servizi e senza futuro.
Uno degli esempi più tragici è la cementificazione delle coste siciliane e calabresi: spiagge, dune e pinete distrutte per far spazio a villette abusive o residence mai completati, frutto di sanatorie fasulle e connivenze politiche. In molti casi, la costruzione di questi complessi residenziali ha portato alla distruzione irreversibile di habitat naturali, con danni incalcolabili per la biodiversità e il turismo sostenibile.
Dal punto di vista urbanistico, la mafia ha contribuito a disegnare città incoerenti, con quartieri-dormitorio isolati dal resto del tessuto urbano, scuole costruite in zone pericolose, strade senza sbocco. Le opere pubbliche servivano solo come veicolo per drenare fondi: si iniziava a costruire, ma spesso non si finiva, o lo si faceva con materiali scadenti. Gli spazi pubblici venivano ridotti al minimo; quelli verdi, cancellati del tutto.
L’abuso edilizio diventa così anche un crimine contro la vivibilità. I cittadini pagano il prezzo in termini di servizi assenti, mobilità caotica, disagio sociale. Le periferie crescono come deserti urbani: luoghi senza identità, spesso preda di nuovo degrado e criminalità. Il paesaggio italiano, in molte sue zone, porta i segni indelebili di questa stagione di conquista criminale: colline sventrate, centri storici abbandonati, edifici pericolanti. Un’eredità tossica, tanto visibile quanto ignorata.
Conclusione – Verso un paesaggio criminale: il volto costruito del potere
Con questo capitolo iniziamo a capire come l’economia criminale non si sia limitata a una logica finanziaria ma abbia avuto una componente visibile, strutturale, concreta: l’edilizia. Questa colonizzazione ha prodotto città deformate, territori svenduti e istituzioni locali trasformate in strumenti operativi della mafia. Nel prossimo capitolo approfondiremo il ruolo dell’edilizia scolastica e dei grandi appalti per la sanità come nuovi strumenti di consenso e potere territoriale.
Fonti: documenti giudiziari, relazioni parlamentari sulle ecomafie, rapporti di Legambiente e dossier ANCE.
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